Photo courtesy of Christopher Mitchell

La figura di Calipso è molto controversa nella mitologia, ma quello che posso dirvi con certezza è che tutti nella vita abbiamo incontrato “Calipso” anche se per un tempo molto limitato.

Si narra che Calipso fosse condannata a rimanere nell’isola di Ogigia come punizione per essersi schierata con il padre durante la Titanomachia. La sua condanna inoltre prevedeva che le Moire continuassero a far approdare eroi fichissimi sulle sponde della sua isola; Calipso si sarebbe innamorata costantemente di questi uomini, che avrebbero però poi finito sempre per abbandonarla e questo è più o meno quello che successe quando Odisseo approdò a Ogigia.

Inizialmente il nostro eroe era ammaliato, non solo dalla bellezza di Calipso, ma dall’intera isola e dal suo spirito. Si viveva infatti di grandi festini fatti di sesso, droga e rock ‘n’ roll, la sregolatezza controllata era all’ordine del giorno e pian piano Odisseo si lascia totalmente trasportare sia da Calipso che da queste attività ludiche fino a raggiungere una certa frenesia e godimento, godimento che dapprima sembra regalargli della felicità, ma la verità è che ben presto il nostro eroe si rende conto che si tratta di una gioia effimera, superficiale, del tutto incapace di perdurare se non reiterando altri piaceri effimeri subitanei giorno dopo giorno. Succede che Odisseo di giorno continua ad andare ai festini ma inizia a piangere la notte, piange perché pensa a quanto cazzo è un coglione ad aver speso 8 anni con una tipetta da rave come la Caly che non gli dà in fondo niente, quando a casa c’è la Penny che lo aspetta da una vita e lo ama con tutta se stessa. Piange perché si sente vuoto, anche se è circondato di gente. Piange perché il calore corporeo di Calipso, gli lascia il freddo dentro, lo fa sentire privo di un senso.

Photo courtesy of Elena Koycheva

Calipso prova a consolare Odisseo organizzando feste più grandi, convincendolo a prendere sbronze più grandi, droghe più pesanti, ma più cercava di fare più l’eroe si sentiva vuoto e capiva di aver lasciato tutto quello che contava davvero per lui dall’altra parte del mondo. E fu così che Calipso decide di lasciare andare Odisseo, gli diede il permesso di poter tornare a casa perché ormai era diventato un’ameba, e lui accoglie subito l’offerta della bella maga e decide di ripartire veloce come il vento dalla sua ragione di vera vita: Penelope.

Ed eccola qui Calipso, in alto nella sua scogliera, guarda la nave di Odisseo allontanarsi e piange, piange perché non sarà mai l’amore profondo di quell’eroe, piange perché amare con tutto se stessi qualcuno e non essere ricambiati fa un male boia, piange perché sa che lei non sarà mai “ragione di vita” ma soltanto “divertente gingillo”.

La storia di Calipso è molto bella perché è una metafora, parla di quel momento della vita in cui tutti almeno una volta sono passati, chi più chi meno tempo, in cui ci sentiamo al top, ci sentiamo fighissimi, invincibili. Abbiamo quindi solo voglia di libertà, emozioni forti, relazioni alternative, passioni subitanee per celebrare quanto ci sentiamo invincibili. Iniziamo a riempirci di cose, esperienze, relazioni effimere perché vogliamo riempire di cose il vuoto che sentiamo dentro ma tutte quelle cose non fanno altro che ingrandire il nostro vuoto e allontanarci da quello che realmente desideriamo e di cui abbiamo bisogno.

Photo courtesy of Elena Koycheva
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